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Altri personaggi

Irasema Dilian - Ceprano

Irasema Warschalowska nacque a Rio de Janeiro (Brasile) il 27 maggio 1924.
È stata un'attrice italiana, figlia di un diplomatico polacco giunto in Sud America negli anni '20.
Giunta giovanissima a Roma, frequentò il Centro sperimentale di Cinematografia a Cinecittà dove si diplomò nel 1940, esordendo subito dopo sul grande schermo nel film “Ecco la felicità” diretto dal regista francese Marcel L'Herbier. Quella partecipazione le valse l'attenzione di Vittorio De Sica che, nello stesso anno, la volle scritturare come una delle studentesse nel film “Maddalena... zero in condotta”, nel quale figurò con il nome d'arte di Eva Dilian.
Fu una delle attrici più popolari degli anni '40, interpretando sempre il ruolo di una studentessa antipatica resa magnificamente grazie alle sue doti comunicative ed artistiche. Nel '41 fu la poetessa svampita co-protagonista del film “Teresa Venerdì”, sempre di De Sica.
In quello stesso anno optò definitivamente per Irasema Dilian come suo nome d'arte, consacrandosi definitivamente nella pellicola “Ore 9 lezione di chimica”, per la regia di Mario Mattoli, dove recitò accanto ad Alida Valli,
nel 1942 recitò in numerosi altri film che ottennero un eccellente successo di pubblico e di critica quali “Violette nei capelli” di Carlo Ludovico Bragaglia, “I sette peccati” di Ladislao Lazslo Kish e “Malombra” di Mario Soldati”, nel 1943 era presente nelle pellicole “Fuga a due voci”, di Bragaglia.
Durante la guerra si rifugiò in Spagna, dove girò quattro film, e tornò in Italia al termine del conflitto per recitare nei film “Aquila nera” di Riccardo Freda (1946), “La figlia del capitano” di Mario Camerini (1947), “Il corriere del re” di Gennaro Righelli (1948).
Nel 1950 si sposò con lo sceneggiatore Arduino “Dino” Maiuri e recitò, in Messico, nel film “Muchachas de uniforme”, remake di un film tedesco del 1931, che conobbe uno straordinario successo e la fece conoscere nel paese latino-americano. Nel 1952 ottenne la nomination per il premio “Ariel” per la pellicola “Paraiso Robado”. In Messico rimase ancora altri 7 anni girando le pellicole “Cime tempestose” (1953) e “Abissi di Passione” (1954) di Luis Buñuel. Il suo film messicano fu “Pablo y Carolina”, mentre la sua ultima pellicola assoluta fu il film spagnolo “La Muralla”, girato nel 1958.
Con gli inizi degli anni '60 si ritirò dalle scene, mentre il marito continuò la sua attività di sceneggiatore, tornando a vivere in Italia e scegliendo Ceprano come sua nuova residenza.
A Ceprano è morta il 16 aprile 1996.

La sua filmografia completa:
“Maddalena... zero in condotta” di Vittorio De Sica (1940)
“Teresa Venerdì” di Vittorio De Sica (1941)
“Ore 9 lezione di chimica” di Mario Mattoli (1941)
“Violette nei capelli” di Carlo Ludovico Bragaglia (1942)
“La principessa del sogno” di Roberto Savarese (1942)
“I sette peccati” di Lazslo Kish (1942)
“Malombra” di Mario Soldati (1942)
“Fuga a due voci” di Carlo Ludovico Bragaglia (1942)
“Tragico inganno” di Juan de Orduña (1946)
“Cuando llegue la noche” di Jeronimo Mihura (1946)
“Cero en conducta” di Pedro Otzoup (1946)
“Aquila Nera” di Riccardo Freda (1946)
“La figlia del capitano” di Mario Camerini (1947)
“Il corriere del re” di Gennaro Righelli (1948)
“39 cartas de amor” di Francisco Rovira Beleta (1949)
“Il vedovo allegro” di Mario Mattoli (1949)
“Donne senza nome” di Geza von Radvanyi (1950)
“I bastardi” di Mauruce Cloche (1950)
“Muchachas de uniforme” di Alfredo B. Crevenna (1950)
“Angelica” di Alfredo B. Crevenna (1950)
“Paraiso Robado” di Julio Brancho (1951)
“La mujer que tu quieres” di Emilio Gomez Muriel (1952)
“Cime tempestose” di Luis Buñuel (1953)
“La cobarde” di Julio Brancho (1953)
“Las infieles” di Alejandro Galindo (1953)
“Un minudo de bondad” di Emilio Gomez Muriel (1953)
“Historia de un abrigo de mink” di Emilio Gomez Muriel (1954)
“La desconocida” di Urueta (1954)
“Dos mundos y un amor” di Alfredo B. Crevenna (1954)
“Pablo y Carolina” di M. De la Selma (1955)
“Serenata messicana” di Roberto Rodriguez Ruelas (1955)
“Y si ella volviera” di Vicente Oronà (1956)
“La estrella del Rey” di Arduino Maiuri e Luis Maria Delgado (1957)
“La ausente” di Julio Brancho (1957)
“Fruto prohibido” di Alfredo B. Crevenna (1958)
“La muralla” di Luis Lucia Mingarro (1958)
 
 
 
Bibliografia:
- AA. VV., “Cinema nostrum”, Teseo editore, Frosinone, 2009
 


Vincenzo Fraschetti - Ceprano

Vincenzo Fraschetti nacque a Ceprano, da Francesco e Filomena Martucci, il 16 aprile 1887.
Laureato in Giurisprudenza, entrò giovanissimo nel campo delle lettere, collaborando  al “Corriere dei Piccoli”, creato allora da un uomo di gran gusto, Silvio Spaventa-Filippi, che raccolte attorno a quel settimanale i migliori scrittori d'Italia, quali Capuana, Ojetti, Fausto Maria Martini.
Collaborò a molte riviste e giornali di grande diffusione e a Radio Rai, dove un tempo ha curato alcune trasmissioni settimanali.
Narratore felice e di limpida vena, poeta di squisita sensibilità, ha dedicato alla letteratura per ragazzi la maggior parte della sua attività di scrittore. Complessivamente circa venti volumi, tra romanzi, racconti, fiabe, versi e teatro, dimostrano la vasta cultura e la versatilità di Vincenzo Fraschetti.
A metà del '900 era considerato, in Italia e fuori, uno dei più noti ed apprezzati scrittori per ragazzi: valutazione sancita nel 1952 con la consegna del riconoscimento letterario italiano “Premio Valdagno: narrativa italiana” con il romanzo per ragazzi “Le cose più grandi di loro”, nel quale, attraverso una narrazione agile, fresca, avvincente, si riaffacciano le vicende della Seconda Guerra Mondiale, dalle dure giornate della resistenza di Cassino all'avanzata delle truppe alleate su Roma dopo lo sfondamento della linea Gustav: tre ragazzi italiani entrano nelle vicende drammatiche di quei terribili giorni.
Nel 1954 ottenne il “Premio Laura Orvieto” di Firenze, per un volume di poesie “Domenica, giorno di festa”. Nel 1957 vinse il Premio della cultura della Presidenza del Consiglio e, nel 1960, è risultato vincitore del premio di narrativa indetto dall'Ente nazionale delle biblioteche con il romanzo “Felicità a buon mercato”, edito a Bologna.
Tra le opere più significative di questo scrittore, ricordiamo: “Topicchio e Spilletta”, romanzo fiabesco vivo di fantasia, fresco di narrazione e pieno di profondi accostamenti umani; “La diligenza delle dodici fiabe”, che ha conosciuto diverse edizioni e ristampe nonché una traduzione in danese, dopo appena quattro mesi dalla prima edizione italiana. Si tratta di favole che possono figurare accanto a quelle che compongono le opere classiche di questo genere e per le quali il traduttore danese così scriveva all'autore: “Qui vi si considera il nuovo Andersen italiano moderno”. Del volume, in seguito, sono state approntate altre due traduzioni: una in tedesco per l'editore Verlag Paulus ed una seconda in turco per l'editore Dogan Kardes.
Invitato da Vittorio Podrecca, creatore del teatro dei piccoli, ha scritto due Pantomime e una Commedia (prologo e tre atti), dal titolo “Fortunello”, che ebbe un numero straordinario di repliche e che la Radio ha ritrasmesso più volte.
Tutta l'arte di Vincenzo Fraschetti è caratterizzata in particolar modo da uno spirito di profonda e delicata umanità e da un sereno senso di poesia, dove gli eterni valori della vita, famiglia, amicizia, bontà e lealtà sono illuminati da riflessi continui di luce.
Oltre che in Danimarca, le opere di Vincenzo Fraschetti sono state tradotte anche in Svezia, con sei racconti del suo volume “Le donne e l'amore”.
Altri suoi volumi sono: “L'Italia dalla A alla Z”, “L'assedio di re Langiritolfo”, “Senza sorriso”, “Poggio a sole e poggio a vento”, “Il sergente John”. “C'era, c'era, dunque c'era”, “Ti narro ogni cosa”, “Paesi, paesi, paesi”, “Topi, piccioni e gatti”, “La sveglia di Messer Cecco”, “La luna nel pozzo o la felicità”, “I giorni felici”, “Gesù sulle strade”, “Storie belle ma vere”, “Letto a due piazze”.
È morto nel 1976.
Alla sua figura l'Amministrazione comunale di Ceprano ha intitolato la scuola dell'infanzia del paese.
 
 
Bibliografia:
- Gianfranco Maiuri, “Ceprano: la storia dalle origini ad oggi”, Roma, 1999.
- W. Pocino, “I Ciociari. Dizionario bibliografico”, Roma, 1961.

 

Giovanni Colasanti - Ceprano

Chi era:
Nato il : 2 settembre 1882

Giovanni Colasanti nacque a Ceprano, da Giustiniano e Carlotta Fraschetti, il 2 settembre 1882. Seguì gli studi classici nel liceo “Conti Gentili” di Alatri e i corsi di Lettere all'Università di Roma “La Sapienza”, specializzandosi nel settore storico-geografico, sotto l'attenta guida del celebre Giulio Beloch.
 
Ha insegnato in numerosi istituti scolastici, sia in Italia che all’estero: a Perugia, a Terni, a Spoleto, a Rieti, ma anche in Egitto, in Palestina, ad Istanbul, per poi fare ritorno di nuovo a Roma. Gli anni in cui Giovanni Colasanti coltivò i suoi studi archeologici furono una delle epoche d’oro dell’archeologia mondiale. Si tratta del periodo in cui, in Europa, le ricerche portarono a nuove conoscenze sulle grandi civiltà del Mediterraneo.

Gli scavi in Egitto, a Micene, a Troia e a Pompei fornirono nuovi metodi di studio, più rigorosi ed attenti rispetto al passato.
In questo quadro si staglia anche la figura di Giovanni Colasanti che, per ricchezza e varietà degli interessi, maturò un'esperienza internazionale di notevole importanza, divenendo un punto di riferimento per il mondo accademico. Lo stile, il metodo, il rigore e l’instancabile lavoro di ricerca e interpretazione delle fonti confermano questo profilo che si offre di lui.

Colasanti ha vissuto inoltre il suo tempo con un fervore politico che si trasformò per lui in una sorta di ostacolo per completare brillantemente la sua carriera di studioso.
La Prima Guerra Mondiale, la profonda crisi che ne seguì, poi l’avvento del fascismo, trovarono nello storico cepranese una singolare resistenza e intransigenza, rendendolo inviso ai maggiorenti di allora. Le idee socialiste e il suo instancabile attivismo gli valsero l’ostilità del potere, che lo accompagnò anche fuori dall'Italia.
Giovanni Colasanti non mutò di una virgola il suo pensiero ed il suo atteggiamento e, sia prima che durante la Seconda Guerra Mondiale, aveva mantenuto intorno a sé un ristretto gruppo di attivisti che aveva eletto la sua abitazione romana a centro di gravità di attività antifasciste.
Dopo la Liberazione fu sindaco di Ceprano per quasi un anno, per lanciarsi poi nell’esperienza sfortunata ma significativa delle elezioni parlamentari sempre nelle fila socialiste.
Oltre ad essere uno storico, un politico ed un insegnante, fu anche un cronista corrispondente del Messaggero di Roma e di altre testate, fondatore e redattore quasi unico del periodico satirico dialettale “La Sagliocca”.
La sua attività di studioso ed archeologo è stata rivalutata soltanto ultimamente, con la ristampa delle sue principali opere a cura del museo di Fregellae sotto la supervisione del direttore Pier Giorgio Monti. A partire dal 2001, sono stati pubblicati in copia anastatica, testi ormai praticamente introvabili nelle edizioni originali. Si tratta di studi fondamentali, benché inevitabilmente datati in molti aspetti, su Fregellae, sul passo di Ceprano nel Medioevo, sulle congetture e le poche informazioni certe relative alla sepoltura di Manfredi, sulla suggestiva ipotesi coltivata da Colasanti a proposito della presenza etrusca nel Lazio meridionale, fino alle rigorose pubblicazioni sull'interpretazione dei testi di Livio.
Il suo approccio alle fonti classiche è stato per molti anni sottovalutato e messo in discussione, fino a che la moderna storiografia e filologia l'hanno riportato in auge.
I titoli delle sue opere principali: “Fregellae: Storia e Topografia” (Roma, 1906); “Pinna: ricerche di topografia e di storia” (Roma, 1907); “Reate: ricerche di topografia medievale ed antica” (Perugia, 1911); “L'urna di Manfredi” (Roma, 1914); “La sepoltura di Manfredi lungo il Liri in “Archivio della Società Romana di Storia Patria” (Roma, 1924); “Come Livio scrive che non erra” (Lanciano, 1952). Morì nel 1952. Nel maggio del 2008 l'Amministrazione comunale di Ceprano ha intitolato alla sua figura la scuola elementare della città.
Bibliografia:

- Pasquale Vannucci, “Ricordo di Giovanni Colasanti”, Roma, 1974.
- W. Pocino, “I Ciociari. Dizionario biografico”, Roma, 1961.

 

 

 

 

Antonio Spinosa - Ceprano

Chi era: Giornalista - Scrittore - Storico
Nato a:
Ceprano il 18 giugno 1923 - Morto a: Roma il 31 gennaio 2009

Antonio Spinosa nacque a Ceprano il 18 giugno 1923. È stato un giornalista, uno scrittore ed uno storico.  La sua vocazione letteraria si manifestò già nei primi anni di scuola e, dopo gli studi classici e la laurea, iniziò la sua carriera giornalistica in qualità di cronista della “Tribuna del Popolo”; lavorò poi per altre testate: il “Giornale d'Italia”, l'Ansa (come giornalista parlamentare) e il “Giorno”.

Fu quindi nominato inviato speciale prima del “Corriere della Sera” e in seguito del “Giornale” diretto da Indro Montanelli. Proprio con il grande giornalista di Fucecchio ebbe dei dissapori, perché Spinosa si disse stanco di svolgere soltanto il ruolo di inviato speciale: a quel punto diede le dimissioni e cominciò a dedicarsi alla storia e alla scrittura.
Spinosa divenne in seguito direttore di numerose testate: “Nuovo Roma”, “Agenzia giornalistica Italia”, negli anni '80, “Gazzetta del Mezzogiorno” e “Videosapere Rai”. Grazie alla sua attività di giornalista ha avuto modo di incontrare ed intervistare numerose personalità del '900, da Giovanni Paolo II a Sandro Pertini a Maria José di Savoia. 
Come scrittore, concepiva il suo stile come libero e spontaneo, definendosi più un narratore di storia che un vero e proprio divulgatore: si basava esclusivamente sui fatti che reinterpretava grazie alla sua arguzia e alle sue intuizioni.
Si è dedicato quasi esclusivamente alla realizzazione di biografie e scelse come prima protagonista Paolina Bonaparte (opera in seguito ampliata): fu un caso, in quanto, quando era ragazzo, il padre lo portò in visita a Villa Borghese a Roma e si ricordò di quell'occasione quando iniziò  a interessarsi e a scrivere di storia. I suoi libri sono stati pubblicati da Rizzoli e Mondadori.

Ha vinto alcuni premi importanti come l'Estense, il Saint-Vincent, il Bancarella (nel 1991 con un volume sulla figura di Vittorio Emanuele II), il Cimitile nel 2002 ed è stato finalista dello Strega nel 1996. Morì a Roma il 31 gennaio 2009. Di seguito i libri della sua prolifica produzione:

“Starace. L'uomo che inventò lo stile fascista” (Milano, 1981)
“I figli del Duce. Il destino di chiamarsi Mussolini” (Milano, 1982)
“Murat. Da stalliere a re di Napoli” (Milano, 1984)
“Tiberio. L'imperatore che non amava Roma” (Milano, 1985)
“Cesare. Il grande giocatore” (Milano, 1986)
“D'Annunzio. Il poeta armato” (Milano, 1987)
“Mussolini. Il fascino di un dittatore” (Milano, 1989)
“Vittorio Emanuele III. L'astuzia di un re” (Milano, 1990)
“Hitler. Il figlio della Germania” (Milano, 1991)
 “Pio XII. L'ultimo papa” (Milano, 1992)
“Salò. Una storia per immagini” (Milano, 1992)
“Edda. Una tragedia italiana” (Milano, 1993)
“Italiane. Il lato segreto del Risorgimento” (Milano, 1994
“Mussolini razzista riluttante” (Milano, 1994)
“L'Italia liberata” (Milano, 1995)
“Augusto. Il grande baro” (Milano, 1996)
“Mussolini - Hitler” (Milano, 1996)
“L'ABC dello snobismo” (Milano, 1997)
“La grande storia di Roma” (Milano, 1998)
“Paolina Bonaparte. L'amante imperiale” (Milano, 1999)
“La saga dei Borgia. Delitti e santità” (Milano, 1999)
“Alla corte del Duce” (Milano, 2000).
“Il destino, il potere e la gloria” (Milano, 2001)
“Churchill. Il nemico degli italiani” (Milano, 2001)
“Cleopatra” (Milano, 2002)
“Napoleone. Il flagello d'Italia: le invasioni, i saccheggi, gli inganni” (Milano, 2003)
“Maria Luisa d'Austria, la donna che tradì Napoleone. La gloria, le passioni, il tormento” (Milano, 2004)
“La grande storia dell'Eneide” (Milano, 2005)
“Luigi XVI. L'ultimo sole di Versailles” (Milano, 2007)
 
 Bibliografia:

- Sito internet www.antoniospinosa.net

 

 

 

Pietro Sterbini - Sgurgola/Vico nel Lazio

Pietro Sterbini nacque a Sgurgola, da Cesare e Camilla Bianchi, il 23 gennaio 1793. Mostrò fin da giovane un ingegno fervido e un carattere fiero. Fu un patriota insigne, infaticabile agitatore dei moti rivoluzionari ed amico, compagno, collaboratore di molti carbonari.
Trascorse parte della sua infanzia e adolescenza a Vico nel Lazio, poi i genitori, per fargli compiere gli studi regolari, lo affidarono alla educazione dei sacerdoti nel seminario di Veroli. Qui, però, il giovane Pietro non tardò a far conoscere il suo animo ribelle e i suoi spiriti liberali, per cui fu espulso dal collegio e dovette terminare da sé gli studi classici. All’età di 20 anni si iscrisse alla facoltà di medicina all’Università di Roma “La Sapienza” e ne uscì laureato. Esercitò per breve tempo la professione di medico a Pofi, dove conobbe Carolina Moscardini, che diventò sua moglie dandogli tre figli.
Si dedicò anche, con molta passione, allo studio delle discipline storiche, filosofiche e letterarie e scrisse la tragedia “la Vestale”, felicemente rappresentata al Teatro Valle di Roma nel 1827, ma che fu subito proibita dalla censura a causa delle sue idee politiche liberali. Fu anche autore di non poche poesie e di altre tragedie, nonché dell'ode “La Battaglia di Navarino”, recitata in una pubblica accademia che gli valse una condanna al confino.
Sterbini, infatti, non si accontentò mai di trascorrere un'esistenza tranquilla legata alla sua professione, ma preferì entrare nell’orbita delle lotte politiche, assecondando in tal modo gli alti ed ardenti sensi di patriottismo che bollivano nel suo petto.
Nel 1831, terminato il periodo di confino e avuta notizia dei moti rivoluzionari di Bologna, tentò di far sollevare la popolazione romana e, d’accordo con i liberali della Romagna e del Bolognese, fomentò e diresse la sommossa che scoppiò a Roma contro il governo del Papa Gregorio XVI, si recò a Terni per persuadere il generale Sercognani a marciare su Roma, ma il tentativo fallì. Fu costretto a rifugiarsi prima in Toscana e poi in Corsica, dove ebbe la fortuna di incontrare Giuseppe Mazzini, di cui divenne fedelissimo amico. In seguito si scrisse alla “Giovine Italia”.
Nel 1835 si trasferì a Marsiglia, esercitandovi la professione di medico.
Salito Pio IX al sommo pontificato, e concessa questi l’amnistia generale il 14 luglio 1846, lo Sterbini, approfittando della politica in favore dei prigionieri politici,  tornò dall’esilio e si dedicò al giornalismo collaborando al “Contemporaneo”. La sua attività politica proseguì a Roma, promuovendo riunioni, guidando dimostrazioni popolari e inneggiando al novello papa fino ad accattivarsene la simpatia.
Il 18 marzo 1848, con l'avvento della Repubblica Romana, venne eletto al Consiglio dei Deputati nel Collegio di Anagni.
Fu ammirato dai più grandi patrioti che lo conobbero, i quali, apprezzandone l’operato, gli offrirono calda e sincera amicizia tenuta sempre viva da assidue relazioni epistolari. Si ricordano il D’Azeglio, Garibaldi, Mamiani, Mazzini. Del Mamiani seguì la politica e con lui fu membro di quella società per la confederazione italiana di cui fu ispiratore il Gioberti; anzi, assisté alle sedute indette da questa società a Torino nell’ottobre del 1848; del Mazzini condivise le idee ed i principi unitari e repubblicani.
Fu presidente del Circolo Popolare di Roma e in seguito venne nominato Ministro dei Lavori Pubblici, Industria e Commercio. Accusato di non aver dato in tempo utile al commercio di Ancona e di Bologna, pur avendogliene la Camera fornito i mezzi, sdegnato lo Sterbini rassegnò le dimissioni che furono accettate.
Fu nominato Conservatore dei pubblici musei, gallerie, archivi e biblioteche; presidente del Comitato di Pubblica Sorveglianza e Commissario straordinario di Frosinone.
Venne coinvolto nella congiura che portò alla uccisione di Pellegrino Rossi il 15 novembre 1848: Sterbini derideva spesso Pellegrino Rossi, additandolo come “nemico dell'Italia” e solo il giorno prima dell'omicidio, lo Sterbini si chiedeva come non si trovasse a Roma una mano che uccidesse quello che definiva tiranno.
Nei giorni di resistenza, durante l’assedio francese, ebbe l’incarico “di avisare con tutta l’energia a difendere il terreno a palmo a palmo” nel rione di “Borgo”, impedendo, così, il saccheggio dei Musei, Biblioteche ed altri luoghi contenenti opere di inestimabile valore.
Caduta la Repubblica Romana ed entrati i Francesi a Roma, esule, riparò prima a Losanna, quindi a Parigi per sfuggire alla condanna a morte, dove mantenne sempre ottimi rapporti con Mazzini e con i maggiori patrioti esiliati.
Nelle storiche giornate del ‘59 tornò in Italia, e, dopo la cacciata del Borbone si stabilì a Napoli. Nella città partenopea fondò e diresse, con altri patrioti, un giornale, cui diede l’auspice titolo “Roma”, a base del quale pose i principi: “Monarchia - Democrazia - Religione - Libertà”.
Sostenne calorosamente la necessità di fare di Roma la capitale del Regno d’Italia e condivise la passione di Giuseppe Garibaldi e di tanti altri patrioti.
Morì a Napoli il 1° ottobre 1863.
 
 
Bibliografia:
- Franco Caporossi, “Il grido di dolore di Pietro Sterbini e di altri patrioti lepini”, Copisteria Futura, Roma, 2007.
- Carlo Minnocci, “Pietro Sterbini e la rivoluzione romana: (1846-1849)”, Industria Grafica Cassinate, Sant'Elia Fiumerapido, 1994.
- Tito Gori, “Il mio paese: cenni storici di Sgurgola con brevi note sulla vita di Pietro Sterbini”, Tipografia Stracca, Frosinone, 1913.
- G. Graziani, “Giuseppe Mazzini e Pietro Sterbini”, Anagni, 1939.


 

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