Castro dei Volsci: Museo Archeologico
Le origini
Il Museo Civico Archeologico istituito con delibera comunale del 25-5-1994 e interessato da lavori di ampliamento negli anni 2000-2001, ospita attualmente circa 700 reperti che illustrano la storia del territorio dalla preistoria all’Alto Medioevo. Il percorso espositivo cronologico-tematico si articola in otto sezioni, precedute da un lapidario collocato nel corridoio di accesso, corredate complessivamente da 42 pannelli tematici e da un informatore elettronico consultabile nella seconda sezione espositiva. La prima sezione corrispondente alla sala 1 è dedicata alla storia del territorio attraverso una sintesi che illustra la frequentazione durante il Paleolitico inferiore, le epoche precedenti la conquista da parte di Roma (rappresentate dal centro fortificato di Monte Nero e dai santuari di Fontana del Fico e di Colle della Pece) per chiudere con la presentazione di due siti di epoca ormai romana: le terme in loc. Acqua Puzza e le figline del praedium in loc. Selvotta.
Sulle alture di Monte Nero rimane oggi un esteso circuito difensivo che racchiudeva un abitato frequentato, in base ai reperti (vetrina 2), almeno dal VI sec. a.C. e di cui è stata proposta l’identificazione con Satricum Volscorum: le fonti ricordano una Satricum Volsca che, dopo aver ottenuto la cittadinanza romana, aiutò i Sanniti nel 320 a.C. ad occupare la colonia di Fregellae ma che, l’anno seguente, fu riconquistata dai romani. Il numeroso materiale votivo (votivi anatomici, figurine umane in lamina bronzea ritagliata, figure di animali ecc.), proveniente dai due santuari e databile tra il VII ed il II sec. d.C. è l’espressione di una società agro-pastorale e di una religiosità popolare che attribuisce capacità curative ad elementi naturali quali l’acqua e la pece.
I votivi del deposito di Colle Pece sono tipologicamente affini a quelli delle “favissae” laziali: gli oggetti più antichi sono costituiti da una fibula c.d. “a drago”di VII sec. a.C. e da una serie di figurine umane in lamina bronzea, alcune con particolari anatomici incavati o sbalzati, che ripetono tipi noti nel Lazio meridionale (Satricum, Norba, Sermoneta, Anagni...) e, comunque, comuni in età arcaica. Significative per la continuità di frequentazione sono alcune monete di età repubblicana (II sec. a.C.) della zecca di Roma e le coppette miniaturistiche in ceramica a vernice nera. L’attività agricola e l’allevamento del bestiame vengono evidenziati dalle numerose figure di bovini, scarse invece sono quelle di suini, solo due le figure di cavalli.
I reperti provenienti dall’insediamento a carattere “industriale” della Loc. Selvotta concludono, come abbiamo detto, la sezione sul territorio: le fornaci messe in luce hanno restituito materiale interessante e singolare, tra cui una matrice fittile per testina del dio Serapide e numerosi coni fittili di cui è sconosciuta la destinazione d’uso. Le sezioni 2-7 sono interamente dedicate all’insediamento di Casale di Madonna del Piano e alle sue trasformazioni nei secoli da villa rustica in età repubblicana e ricca residenza in età imperiale a latifondo nel IV sec. d.C. ed infine, ad insediamento di una comunità multietnica, commistione tra romani, goti e longobardi come testimonia la necropoli con sepolture plurime databile al VI-VII sec. d.C.
L’ultima sezione 8 è dedicata infine ad una piccola collezione numismatica: le monete provengono dai siti archeologici del territorio e dall’insediamento di Casale di Madonna del Piano. La sezione o sala 3, detta anche sala romana, espone, secondo un ordine tematico, quei reperti appartenenti alla villa di età imperiale: la ricca decorazione rappresentata dai marmi policromi dell’opus sectile parietale e pavimentale, gli elementi architettonici, la ricca suppellettile sono la testimonianza di una fastosa residenza, appartenuta probabilmente ad una famiglia di rango senatorio, ove si svolgevano anche riti misterici legati al culto di Attis e della Magna Mater, testimoniati dal rinvenimento delle statuette marmoree di Attis tristis e Attis danzante, da una testa di leone ecc. Nelle vetrine è documentata la vita quotidiana: vasellame da mensa, mattoni con bolli, anfore, oggetti di ornamento come vaghi di collana in pasta vitrea, fibule, pendagli, aghi crinali in osso, e di toletta come pinzette e spatole per cosmetici, in bronzo; un peso da telaio e lunghi aghi in bronzo sono a testimoniare i lavori femminili come la tessitura.
Tra la sala 3 e la sala 4, su una pedana, è esposta una esemplificazione di ceramica da cucina: una casseruola, una pentola, olle e ciotole in ceramica comune utilizzate nelle cucine della villa tra il II e III sec. d.C., mostrano il perdurare nei secoli di forme, tipi e materiali dettati dalla praticità dell’uso, come anche i grandi dolia di diverse capacità, con risarciture in piombo, simili alle giare di recente tradizione contadina. Nel 1998, nel corso di un intervento di restauro nell’ambito della basilica paleocristiana, fu rinvenuta riutilizzata capovolta come soglia, una lastra marmorea pertinente alla fronte di un sarcofago, datato al III sec. d.C., con clipeo centrale sorretto da eroti e chiare tracce che fanno presupporre anche la presenza di dadofori a delineare il tutto. Nel clipeo è incisa un’iscrizione funeraria di dedica in ricordo di un bambino di nome Artemisio, liberto figlio probabilmente di schiavi che visse i suoi brevi anni nella villa romana del Casale.
La lastra è collocata nel lapidario (ospitato nel corridoio di accesso al museo), insieme ad un frammento di lastra con iscrizione, probabilmente anch’essa funeraria, di Trebio... Tribuno militare. La presenza di iscrizioni pertinenti a monumenti sepolcrali attesta l’esistenza di un’area funeraria relativa alla villa di età imperiale, non ancora individuata, ma sicuramente spoliata in periodo tardo antico per recuperare e reimpiegare il materiale lapideo, come testimonia un’altra lastra iscritta riutilizzata come lastra ad arco di un probabile ciborio di altare, nella fase altomedievale dell’edificio di culto paleocristiano.
Il passaggio all’Alto Medioevo è documentato nelle sale 5-7, dove sono esposti i materiali provenienti dall’edificio di culto, testimone dell’affermarsi della nuova religione cristiana, e i corredi tombali della necropoli (tombe 1,2,3,4,8), che comprendono, oltre ad una produzione ceramica costituita da ollette e brocchette trilobate, attingiti ecc. oggetti di ornamento e accessori per il vestiario, come orecchini in argento, in oro o in bronzo semplici e con pendente, un bracciale in bronzo, fibbie in bronzo di tipologie varie ecc..
Pregevoli anche i reperti in vetro delle tombe 1 e 2. Lo studio tipologico e stilistico di questi oggetti unitamente agli studi di antropologia fisica sui reperti scheletrici conferma una presenza autoctona rappresentata in misura maggiore da individui di sesso femminile ed una presenza di individui di sesso maschile con caratteristiche analoghe a quelle tipiche di Ostrogoti e Longobardi. La vita di questa comunità mista fu assai breve, con una forte incidenza di mortalità infantile e femminile, ma ad oggi, le cause della morte sono ancora ignote. Al centro della sala 7 viene proposta la ricostruzione, a fini didattici, di una tomba, con deposizione singola.
Area archeologica di Casale della Madonna del Piano
Il sito di Casale di Madonna del Piano nel comune di Castro dei Volsci, è situato a circa un chilometro dalla riva destra del fiume Sacco. La vita dell’insediamento può essere suddivisa in quattro periodi principali: un primo periodo rappresentato dalla villa di età tardo-repubblicana (I sec. a.C.), che si inpianta nella parte Nord del sito. Di essa rimane parte del muro di terrazzamento con piccoli contrafforti, il peristilio su cui si aprono alcuni ambienti, un vano absidato ad Ovest, che in età imperiale verrà trasformato in frigidarium (in questo periodo tutta la struttura sarà trasformata in un grande complesso termale noto come “Terme di Nerva”), un corridoio a Sud sul quale si aprono altri ambienti, di cui quelli ad Est distrutti dal grande calidarium delle Terme. La situazione orografica del sito (una collinetta terrazzata delimitata da un corso d’acqua) corrisponde alle caratteristiche descritte da Catone, Varrone e Columella nei loro trattati di agricoltura per le ville rustiche, cioè per le case di campagna dei ceti medio-alti romani, della fine dell’età repubblicana. Un secondo periodo, al quale si fa risalire l’impianto di una nuova villa posta più a Sud rispetto alla precedente e di cui sono state individuate due fasi (I fase di I sec. d.C. e II fase di II-III sec. d.C.): è alla fase più tarda che appartiene il grande complesso termale a Nord.
Nella villa è stata individuata la parte destinata all’abitazione del dominus, distinta da altre due zone destinate molto probabilmente alla servitù e ai servizi, situate rispettivamente ad Ovest e a Nord-Est di quella padronale. L’abitazione del dominus è costituita da un atrio centrale con corridoio e vasca rivestita in cocciopesto. Sul corridoio affacciano dieci ambienti: quelli sul lato Sud comunicanti tra di loro e alcuni anche con il corridoio; durante la seconda fase questa parte subisce notevoli cambiamenti sia strutturali, a causa della notevole umidità, sia decorativi. Il corridoio esterno lungo il lato Sud degli ambienti è riconvertito in canalizzazione che convogliava le acque provenienti da Est e da Ovest, immettendole, mediante un fognolo che attraversava anche l’atrio, nel collettore della villa, con scolo verso Nord-Est.
I pavimenti degli ambienti vengono riccamente decorati in opus sectile (ovvero in tarsie marmoree) ed a mosaico, mentre la decorazione parietale doveva essere in intonaco dipinto. Successivamente, nel III sec d.C., il pavimento in opus sectile del primo vano a Sud dell’atrio, è sostituito da un pavimento musivo a tessere bianche e nere con decorazioni floreali; le stesse tessere musive, ma con decorazioni a sviluppo geometrico, ricoprono l’intero corridoio; gli altri ambienti presentano una pavimentazione in opus sectile con decorazioni geometriche (ad eccezione di un vano che presenta una decorazione lacunosa in opus sectile ma a motivi floreali), di notevole effetto cromatico.
A questi ambienti appartengono decorazioni parietali anch’esse in opus sectile a motivi geometrici, con prospetti architettonici, o con accenni ornamentali e floreali. Tutti i marmi presenti nella villa sono di notevole pregio e tutti di importazione come il serpentino, il giallo di Numidia, il rosso antico, il verde antico, il cipollino ecc. Ad Ovest della parte padronale una serie di strutture lascerebbero ipotizzare la presenza di due cortili paralleli con andamento Ovest-Est, su cui si aprivano ambienti quadrati di piccole dimensioni, forse destinati alle abitazioni della servitù.
A Nord-Est invece sono stati rinvenuti degli ambienti probabilmente di servizio (rimaneggiati successivamente e riutilizzati nel VI-VII sec.d.C. per sepolture), di cui alcuni con tracce di suspensurae a testimoniare un sistema di riscaldamento per un piccolo “balneum” di solito prossimo alla cucina. Nel terzo periodo (IV sec. d.C.) l’insediamento subisce una radicale trasformazione: la pars urbana viene completamente abbandonata, come testimonia la totale assenza di reperti databili oltre il III sec.d.C., ed isolata dal resto dell’insediamento mediante tamponature (venne tamponata la porta tra due vani, isolando così tutta la zona residenziale e in uno di questi due ambienti vennero ammassati statue e marmi ridotti in frammenti).
Uno dei motivi dell’abbandono, oltre a quello economico, è ancora il problema dell’umidità, essendo la pars urbana la zona più bassa di tutto l’insediamento. Intonaci dipinti, laterizi da costruzione, frammenti di vasi vengono utilizzati come massicciata per rialzare il piano della zona Ovest, ove era la zona della servitù (la pars rustica) che viene radicalmente trasformata per la nuova destinazione d’uso come area di lavorazione. Anche la zona ad Est (la pars rustica destinata ai servizi) viene ampliata con l’aggiunta di altri vani, probabilmente ora ad uso abitativo. La villa diventa ormai latifondo, una grande proprietà agricola abitata dalla servitù addetta alla produzione ed alla lavorazione dei prodotti. Il quarto periodo (V-IX sec. d.C.) è quello in cui il sito vede la sua definitiva trasformazione che segna la fine del mondo romano e l’inizio di una nuova società. Nella pars rustica si impianta un edificio di culto, diviso in tre navate da pilastri (quelli del porticato preesistente) alternati a colonne di spoglio provenienti dalla villa.
Nel VII-VIII sec.d.C. cominciano i lavori di abbellimento dell’edificio, interrotti improvvisamente da un incendio, come documentano i materiali lapidei di decorazione, di cui alcuni in corso di rilavorazione, abbandonati alla rinfusa nell’edificio stesso. I dati relativi alla comunità che qui si riuniva vengono dall’analisi antropologica effettuata sui resti ossei di inumati rinvenuti nella necropoli che nel VI-VII sec.d.C. si impianta nelle strutture orientali della pars rustica della villa.
La necropoli ha restituito tredici sepolture multiple, per un complesso di 165 inumati ed ogni sepoltura appare stratificata e tra uno strato e l’altro sono evidenti le tracce di uno strato di carbone minuto. Il fondo delle tombe era rivestito di “bessali” di riutilizzo. La forma delle tombe è a cassa rettangolare o trapezoidale, la profondità complessiva è compresa tra 40 e 70 cm.. Alcune riutilizzano muri preesistenti, altre sono fosse terragne foderate con grossi conci calcarei. Le sepolture presentano sia inumati adulti di sesso maschile e femminile sia bambini e sono disposte secondo i due orientamenti N/S e E/O.
Otto di queste sepolture hanno restituito in media 17-20 inumati in connessione anatomica e numerosi elementi di corredo; le altre cinque, maggiormente danneggiate, presentavano meno inumati e scarso corredo. Il corredo per la genericità dei materiali fa pensare ad una comunità autoctona connotata però da interferenze (un morfotipo con caratteristiche strutturali diverse da quelle della popolazione italiana autoctona), dovute ai grandi flussi aperti dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, dedita all’agricoltura e all’allevamento, che riusciva a fatica a mantenere una economia di sussistenza. Le cause dell’abbandono del sito di Madonna del Piano è a tutt’oggi sconosciuto, pur tuttavia, sulla base delle modalità inumative è stata avanzata l’ipotesi di mortalità repentina di un gran numero di persone a causa di un’epidemia.