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La Ciociaria nel cinema

Non sono né scaltro né attento e come ciociaro a sentire Anton Giulio Bragaglia che di Ciociaria se ne intende, sono un ciociaro impuro, della costa, e perciò un mezzo sangue, un ciociaro impuro, un bastardo insomma… I ciociari quelli veri, sono figli di antichi guerrieri, sono alti, fieri, robusti, svelti di coltello, ruba-terre e roditori di confini… [1]

Nella geografia la Ciociaria include la provincia di Frosinone, la parte sud della regione Lazio, delimitata a occidente dai monti Lepini, Ausoni e Aurunci e a sud-est dai monti della Meta e le Mainarde, montagne aspre e impervie a cui spesso viene paragonato il carattere duro, forte e scontroso del ciociaro. Ma nel mondo cinematografico la Ciociaria comprende anche la costa del Lazio meridionale, include Itri, Fondi e Sperlonga.

Ritroviamo nei film del dopoguerra, periodo in cui il cinema riscopre le differenze linguistiche regionali, la Ciociaria, quella parte del Lazio povero, terra di lavoro e di ignoranza. Causa di emigrazione da parte di tutte quelle donne che venivano spinte verso le città a compiere lavori di servitù come in Umberto D. o come in La Ciociara.

I personaggi provenienti dalla Ciociaria vengono spesso rappresentati come macchiette, servono per sdrammatizzare e non sono quasi mai protagonisti; hanno ruoli comici, arricchiti da un accento e da un dialetto marcato, tipico della provincia. Quando questi film vengono girati nelle terre ciociare, mostrano la loro bellezza, ma anche la loro arretratezza culturale e sociale.

Nel 1950 esce Non c’è pace tra gli ulivi, del regista Giuseppe De Santis, ‹‹il più controverso e conosciuto dei film ambientati in Ciociaria. Ricalcando il western americano, il melodramma e il teatro brechtiano, il regista ciociaro Giuseppe De Santis denuncia qui ‹‹povertà e sopraffazione.››[2].

Fu accusato di astrattismo dal critico della rivista ‹‹Cinema››, Adriano Baracco, il quale definisce le pose dei contadini del film troppo irreali. A questa critica De Santis risponde:

Ed è appunto per essere fedele a questa enunciazione estetica che io ho cercato di rappresentare, per quanto mi è stato possibile, quella realtà sociale ed umana della Ciociaria, che conosco ed amo per esserci nato e cresciuto. Fedele a quella realtà della Ciociaria sono stato, mostrando in quali condizioni di disagio economico ed ambientale vivano i pastori, che abitano in vecchie catapecchie di pietra e per i quali quattro pecore possono significare la salvezza dalla fame; fedele alla realtà della Ciociaria sono stato quando ho mostrato il gioco, talvolta meschino, delle passioni che agitano gli animi di quella gente tenacemente attaccata alla loro “roba” eppure capace di generosi impulsi; fedelissimo alla realtà della mia terra è anche quell’oscuro groviglio di superstizioni e di fantasmi religiosi di colore quasi pagano per visitare ogni anno gli antichi santuari.

Reale è lo stato di semischiavitù in cui la donna è costretta a vivere, inerme strumento degli interessi familiari: vera e storica, e ciò trascende i confini della Ciociaria per diventare una caratteristica universale, è l’esistenza dei soprusi e delle violenze da parte di individui che, accentrando il potere economico, di esso si servono per continuare a padroneggiare ed arricchirsi sui più deboli.[3]

De Santis definisce Non c’è pace tra gli ulivi come un film di denuncia sulle lotte contadine, un film sulla sua terra, Fondi.

Nell’incipit vi è la presenza del regista: è lui stesso che introduce il film mettendosi in gioco, ‹‹è lui che parla della Ciociaria, “terra di confine”, regione dove la gente porta ai piedi le “ciocie” e balla il “saltarello”››[4].

Francesco, il protagonista, riesce a vincere grazie a una presa di coscienza sociale e di classe.

Nel 1954 esce Giorni d’amore una collaborazione totalmente ciociara con Libero De Libero, Elio Petri, Gianni Puccini ed il pittore Domenico Purificato. Il protagonista è Marcello Mastroianni, l’attore di Fontana Liri, nell’unica interpretazione da ciociaro della sua carriera.

Il titolo lascia pensare ad una commedia romantica, ma in realtà si distacca anche dal neorealismo rosa: è sia una favola contadina che un film colto carico di contenuti. De Santis mette in scena le usanze, i pregiudizi e i problemi della vita contadina, evidenzia le differenze tra la pubblicità e la nuova società emergente, fatta soprattutto di beni materiali, che i contadini non hanno e non possono avere (Angela sfoglia riviste di abiti nuziali e sogna la permanente). E’ un film corale che rimanda alla tradizione letteraria italiana.

‹‹È il film più importante del Lazio del sud perché ha saputo legare con amore, rispetto, intelligenza e comicità le usanze, i pregiudizi, la religiosità e la teatralità dei ciociari.››[5] scrive Antonio Vitti in Peppe De Santis secondo se stesso.

L’attore che ha portato nel cinema e nella televisione il personaggio del ciociaro, fu un vero ciociaro, all’anagrafe Saturnino Manfredi, nato a Castro De Volsci. Nino Manfredi interpretò spesso il personaggio del contadino, come nel film Straziami ma di baci saziami di Dino Risi dove veste il ruolo di Marino, un barbiere di Alatri, le cui origini sono rimarcate dalla lingua della subcultura popolare, quindi da un forte accento ciociaro, proprio delle zone del suo paese, Castro De Volsci.

Ritroviamo un personaggio simile nel film Per grazia ricevuta scritto, diretto e interpretato dallo stesso Manfredi, che ebbe molti riconoscimenti, tra cui il premio opera prima a Cannes. Il film parla di religiosità e tabù sessuali. In esso la Ciociaria appare come una terra selvaggia, fatta di pregiudizi e superstizioni, in cui un’educazione religiosa sbagliata è la causa del dramma umano vissuto da Benedetto, che vive la sua vita reprimendo i suoi istinti. Manfredi stesso dichiara:

Sono nato in un paese della Ciociaria, che si chiama Castro dei Volsci, in località Valle Fratta, dove mio nonno, dopo lunghi anni in America come emigrato, era riuscito a costruirsi una casetta di pietra. I Volsci, montanari e pecorari, erano una popolazione italica più antica dei nostri padri latini. Ed erano, non dico selvaggi, ma certo poco evoluti, e coi bellicosi quiriti non avevano mai voluto aver niente da spartire. Si viveva dei prodotti della terra, ogni famiglia faceva da sé l’olio, il formaggio e il vino. Soldi non ne giravano perché l’economia si basava in gran parte sul baratto: io ti do una bottiglia d’olio e tu mi dai una forma di cacio. Quando ero bambino, i miei compaesani erano ancora a livello di civiltà rurale non superiore a quella dei nostri progenitori. Se un bambino mostrava certe curiosità veniva preso a bacchettate sulle dita perché gli argomenti sessuali erano tabù. Ho affrontato questi temi in Per grazia ricevuta, anche perché ho covato per anni dei sentimenti che somigliavano alla ribellione e ho sentito il bisogno di esprimerli. [6]

Nel neorealismo il personaggio del ciociaro è stato sempre rappresentato come un personaggio minore, sempre marcato da un forte accento e da un dialetto tipico del basso Lazio, che aggiungeva comicità alla scena ed era il simbolo della povertà contadina; spesso emigrava verso la città per migliorare le sue condizioni di vita. In questo caso il personaggio era femminile.

Ma questo non accade in tutti i film. Infatti in quelli precedentemente citati, i ciociari sono contadini scontrosi attaccati alla loro terra, terra di cui spesso non sono proprietari, contadini che lottano per la propria dignità lavorando tutta la vita.

In una scena di Giorni d’amore Angela parla del suo matrimonio e di come vorrebbe che tutto il paese la guardasse, sogna un vestito uguale a quello delle riviste, i fiori e gli addobbi. In una delle scene del film la madre di Angela le risponde : ‹‹Non siamo mica proprietari di aranci!››. Questa frase sta a specificare che essi coltivano pomodori e zucchine e non sono benestanti come i proprietari di aranci, che guadagnano di più.

La Ciociaria è sia terra di superstizione e arretratezza che terra di lavoro e di tradizione.

Come afferma De Santis: ‹‹un mondo di oppressi che cercavano non solo di combattere il fascismo ma anche di vincere una battaglia più antica e sempre più urgente, per raggiungere un minimo di esistenza umana e civile.››[7]

Nel periodo neorealista italiano viene affrontato il tema della condizione umana del popolo italiano e l’interesse cinematografico viene spostato sulla vita contadina di campagna. I film più famosi sono Due soldi di speranza di Renato Castellani e Pane, amore e fantasia di Luigi Comencini. Per quest’ultimo film Lino Miccichè afferma: ‹‹Insomma, dopo tante verità parziali su Pane, amore e fantasia di Luigi Comencini, ecco, detta molto semplicemente, la verità più vera: uno spettacolo piacevole che rinfresca con lo sguardo neorealistico gli echi di una grande tradizione della cultura italiana.››[8]. Alcune scene di questo film sono state girate nel bosco di Forca d’Acero, nella Valle di Comino. Infatti, anche se non è stato realizzato in Ciociaria, i luoghi del film sono molto simili a quelli del basso Lazio ed anche le usanze sono le stesse di Sagliena.



[1] Giuseppe De Santis, Verso il neorealismo. Un critico cinematografico degli anni Quaranta, Bulzoni, a cura di Callisto Cosulich, Roma, 1982.

[2] Antonio Vitti, Peppe De Santis secondo se stesso: conferenze, conversazioni e sogni nel cassetto di uno scomodo regista di campagna,  Metauro Edizioni, Pesaro, 2006, p. 301.

[3] Giuseppe De Santis, Lettera a Adriano Baracco, ‹‹ Cinema ››, n. 50, 15 Novembre 1950, p 261.

 

[4] Vito Zagarrio, Per una rilettura di Giuseppe De Santis in Ciociaria, in Franco Zangrilli (a cura di), La Ciociaria tra scrittori e cineasti,  Metauro Edizioni, Pesaro, 2004, p.486.

[5] A. Vitti, Peppe De Santis secondo se stesso: conferenze, conversazioni e sogni nel cassetto di uno scomodo regista di campagna, cit., p.311.

[6] Nino Manfredi, Antonio Cocchia (in collaborazione con) , Nudo d’attore, Mondadori, Milano, 1993, p.8-9.

[7] Giuseppe De Santis, Confessioni di un regista, conferenza pronunciata da De Santis al Gabinetto Vieusseux di Firenze nella primavera del ’51, in ‹‹Rivista del cinema italiano››, n. 1-2, gennaio-febbraio 1953, p. 23.

 

 

 

 

un uomo duro che è stato tradito dai suoi stessi compaesani, ma che vuole lottare, liberando la sua terra dal padrone per renderla libera. O come Cesira, della Ciociara, che viene tradita dalla sua stessa terra, la terra in cui è nata, dove trova la forza di reagire.
Anche nel cinema spesso il ciociaro viene descritto come un personaggio campagnolo ignorante e ingenuo, che sa parlare solo dialetto. A volte, però, il ciociaro è forte, duro, aspro come le sue colline, legato a ciò che è suo, ma capace di far del bene, come dice la canzone che apre un altro film di De Santis, Giorni d’amore: gente superba ma di cuore buono.

[8] Lino Miccichè, Pane, amore e fantasia. Neorealismo in commedia, Associazione Philip Morris Progetto Cinema, Lindau, Torino, 2002 p.18.

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