Abbazie
L'Abbazia di Fossanova
Nel comune di Priverno, nell’omonimo borgo sulla SS. Marittima in direzione Terracina, si trova la celebre Abbazia di Fossanova, ritenuta il più puro esempio di costruzione cistercense in Italia. Nel 1187 i monaci cistercensi iniziarono i lavori dell’abbazia facendo scomparire il modesto edificio benedettino esistente. La chiesa fu consacrata nel 1208, intorno allo splendido chiostro, in modo concentrico, furono costruiti la chiesa, la sala capitolare, i dormitori dei monaci, il refettorio, la cucina e il dormitorio per i conversi; di poco separati da questo complesso abbiamo il cimitero dei monaci, la foresteria e l’infermeria.
Possiamo affermare che i maestri costruttori, attenendosi scrupolosamente a un preciso ordine urbanistico ed ad una razionale misura architettonica, hanno ottenuto risultati così straordinari da essere da modello e scuola a tutte le altre costruzioni della zona. Il chiostro, di forma quadrangolare, ha tre lati di stile romanico e uno di stile gotico. Una lunga teoria di elaborate colonnine binate, che sorreggono archetti a tutto sesto, scandisce in modo armonico gli spazi. Un’attenzione particolare merita la complessa varietà di stili, intagli e bassorilievi delle colonnine. Ce ne sono lisce e tortili, intagliate e decorate, di stile cosmatesco, stile romanico e stile gotico.
La chiesa, costruita tutta con pietra calcarea locale, esternamente è caratterizzata da un ampio e luminoso rosone, formato da ben 24 colonnine geminate che poggiano su un cerchio più piccolo e da un monumentale portale fortemente strombato. Nel timpano troviamo “l’oculus”, di grandi dimensioni, quasi una rosa. La facciata, realizzata con perfetta alternanza di superfici piane e di cavità, di parti piene e di zone vuote, di linee rette e di curve, ottiene ottimi risultati dal punto di vista figurativo.
Sul corpo esterno della chiesa domina il tiburio, a due piani ed a pianta ottagonale: è un rifacimento posteriore, in quanto l’originario andò distrutto nel 1595 a causa di un fulmine. Esso è posto all’incrocio della navata centrale con il transetto e assume anche la funzione di torre campanaria. L’interno della chiesa è a pianta latina,con tre navate, tagliate perpendicolarmente dal transetto. Sette coppie di robusti pilastri scandiscono le campate.
Le navatelle laterali, molto più piccole della navata centrale, presentano archi a doppia ghiera e grandi pilastri, che occupano notevolmente il già ristretto spazio. L’interno, completamente privo di decorazioni, tranne pochi resti di affreschi del XIV secolo, da un senso di armonia e di equilibrio, in quanto le varie componenti architettoniche sono state concepite secondo un rigido principio delle proporzioni: la lunghezza della chiesa corrisponde a tre volte la larghezza; è uguale a quattro volte la larghezza del transetto e a quattro volte la larghezza della navata centrale, più la larghezza di una navatella laterale.
I pilastri formati da grossi blocchi sagomati di calcare presentano delle semicolonne pensili con mensole coniche, che proiettandosi in alto sorreggono i robusti archi e le crociere. A lato del chiostro, in una posizione più bassa, si trova la sala capitolare. Essa, a pianta quadrata, presenta la volta a crociere, ben evidenziate da robusti costoloni. Al centro della sala abbiamo due pilastri a fasce, sui quali vanno a scaricarsi le volte. La sala è illuminata verso il chiostro da una semplice porta e da due belle finestre bifore con colonnine binate. Tale sala fu ricostruita intorno al 1250, secondo lo stile detto “gotico fiorito”. Il refettorio, edificato di fronte al lato gotico del chiostro, è a pianta rettangolare, diviso in sei campate da cinque archi a sesto acuto. Esso presenta, addossato alla parete di destra, un interessante pulpito per il monaco lettore, inserito in una delle due arcate della parete.
In una piccola cella dell’adiacente foresteria abitò e morì San Tommaso d’Aquino nel 1274.
(testo tratto da www.comune.priverno.latina.it)
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Monastero di Santa Scolastica a Subiaco
Il monastero di Santa Scolastica è l’unico dei 12 monasteri fondati da San Benedetto con il nome di San Silvestro ad essere sopravvissuto ai terremoti e alle distruzioni saracene. Dal XIV secolo prese il nome attuale e dal 1465 i due chierici tedeschi A. Pannartz e C. Sweynheym, vi impiantarono la prima tipografia italiana, che arricchì la Biblioteca, già esistente, di incunaboli e di libri di grande valore.
Il complesso si presenta come un insieme di edifici costruiti in epoche e stili diversi: un ingresso, sul quale figura la scritta "Ora et Labora", con strutture del XX secolo, introduce nel primo chiostro o "Chiostro Rinascimentale" (XVI sec.), dal quale si passa in un secondo chiostro o "Chiostro Gotico" del secolo XIV ed, infine, in un terzo, detto "Chiostro Cosmatesco", del secolo XIII. Il Campanile è del XII secolo e la Chiesa attuale è della fine del 1700, l'ultima di ben cinque chiese stratificatesi lungo i secoli.
La Biblioteca è oggi situata sul lato nord del Chiostro Gotico, mentre il Refettorio si trova nel lato ovest del Chiostro Cosmatesco, un tempo sormontato dal Dormitorio.
La Certosa di Trisulti
Il più piccolo racchiude il cimitero certosino, a sinistra del quale si apre la sala capitolare (con pavimento ad intarsio sul fondo di noce scuro), sulle cui pareti si ammirano otto quadri sulla Maddalena, probabilmente opera del Caci. Il grande chiostro, del 1700, invece, si trova su un piano più basso rispetto a quello della chiesa, ed è di stile Rinascimentale. Un’attenzione particolare va anche rivolta alla sagrestia, notevole per i suoi mobili in noce di scuola certosina e per gli affreschi realizzati nella volta che rappresentano la vita della Vergine. Gioiello della Certosa è la Farmacia, sistemata in una palazzina con antistante giardino caratterizzato da siepi di bosso, modellate in forme curiose dai stessi frati, un tempo orto botanico. Essa fu realizzata nel secolo XVIII, ma da sempre i monaci della Certosa hanno raccolto sulle montagne circostanti erbe con cui preparare medicamenti, unguenti, droghe che riponevano in vasi di terracotta maiolicata. Questi si possono ancora ammirare ben allineati in una delle due deliziose salette.
Ancora oggi permane la produzione di liquori tradizionali. Le sale della farmacia sono arredate con mobili settecenteschi e belle scaffalature in legno, sulle quali appaiono in bella mostra scatole di faggio e vasi in vetro e ceramica. Singolare è la decorazione pittorica, soprattutto del cosiddetto, salottino del Balbi, il salotto d’attesa che ha preso il nome del principale decoratore dell’intero complesso, il pittore napoletano Filippo Balbi, che fra il 1857 e il 1865 soggiornò a lungo nella Certosa per rifugiarsi dall’assedio borbonico ed eseguì numerosi dipinti. L’attenzione del visitatore è però attirata dalle volte a crociera della sala principale della spezieria, decorata sul finire del Settecento da Giacomo Manco in stile pompeiano, in ossequio alla moda esplosa dopo i primi ritrovamenti di pitture in Pompei ed Ercolano. Infine, sempre nella Farmacia, si può ammirare un suggestivo dipinto del Balbi, a grandezza naturale, raffigurante Frà Benedetto Ricciardi, direttore della Farmacia fino al 1863 anno della sua morte.
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Monastero di San Benedetto o del Sacro Speco
Il Sacro Speco è un complesso di grande suggestione formato da due chiese sovrapposte e da diverse cappelle che, come detto da Pio II, si aggrappano come un nido di rondini, a strapiombo al Monte Taleo. Si entra al monastero attraversando una stretta galleria abbellita da affreschi della prima metà XVI della scuola del Perugino.
La chiesa superiore consta di due diversi ambienti, il primo con volta a crociera e costoloni e l’altro romanico. Il primo ambiente presenta raffinati affreschi di scuola senese che raffigurano storie della vita di Gesù: in particolare spicca, nella parete di fronte l’ingresso, la monumentale scena della Crocefissione che avviene al cospetto delle Pie donne e da una folla estranea alla tragedia. Nel secondo ambiente della chiesa superiore si trovano le pitture di scuola umbro - marchigiana con storie della vita di San Benedetto, del principio del XV sec.
Si scende nella chiesa inferiore completamente affrescata da pittori della scuola romano benedettina, tra i quali Magister Conxolus al quale spetta la “Madonna col Bambino tra due Angeli” dipinta nella piccola abside di sinistra. Sulle pareti laterali si sviluppa un ciclo di affreschi le cui scene narrano episodi salienti della vita del Santo. Alla fine della prima rampa di scale si trova l’ingresso al Sacro Speco, la grotta dove il giovane Benedetto visse per tre anni, come ricordato dalla statua dello scultore Raggi (1657).
Salendo una suggestiva scala a chiocciola, scavata nella roccia, si raggiunge la Cappella di San Gregorio dove si trova il celebre affresco di San Francesco d’Assisi rappresentato senza stimmate e aureola, dipinto perciò quando il Santo era ancora in vita. Scendendo la Scala Santa s‘incontrano la Cappella della Vergine le cui pareti sono affrescate da pitture di scuola senese, la grotta dei Pastori e si raggiunge il roseto dove San Benedetto vinse la tentazione della carne.
Abbazia di San Domenico
Il complesso monastico sorge nei luoghi in cui era ubicata la villa paterna di Marco Tullio Cicerone, a pochi passi, dove immediatamente, statim, il Fibreno confluisce nel Liri. L’Abbazia di S. Domenico, ultimo e celebre cenobio fondato dal Santo di Foligno, è considerato tra i più antichi monumenti cristiani sorti nel territorio sorano.
Al 1011 risale la fondazione dell’Abbazia di San Domenico, dedicata alla madre di Dio e a San Domenico nel 1104, mentre al 1030 risale la data dell’atto di donazione con diversi beni del gastaldo Pietro il Maggiore, governatore di Sora e di Arpino, al monaco benedettino Domenico da Foligno (951-1031). All’interno del complesso troviamo la chiesa, il campanile, il cimitero ed il chiostro attorno al quale si articolano vari edifici. Oggi l’Abbazia si presenta con la facciata principale piuttosto sobria, con tre porte ed un bel rosone centrale. Gli stipiti della porta sinistra e quello sinistro del portale sono costituiti da blocchi calcarei con motivi agresti, a forma rettangolare, che probabilmente abbellivano l’archivolto della casa natale di Cicerone.