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Abbazie

L'Abbazia di Casamari

Abbazia di Casamari

Una delle abbazie stilisticamente più significative in Italia e che pertanto merita sicuramente di essere visitata è l’Abbazia di Casamari, situata nell’estremo territorio orientale del comune di Veroli, lungo la via Mària, a metà percorso tra Frosinone e Sora. Si staglia, imponente e solitaria, a ridosso di una collina rocciosa delimitata dal torrente Amaseno, che anticamente segnava il confine tra gli Ernici e i Volsci, a 300 metri di altitudine sul livello del mare.

 

 

Fu eretta sulle rovine dell’antico municipio romano di Cereatae Marianae (di cui è ancora visibile l'acquedotto che lo serviva), così denominato in onore della dea Cerere, cui il luogo era consacrato, e del valoroso generale romano, Caio Mario, che qui nacque e trascorse i primi anni della sua giovinezza; a lui si deve anche l’attuale denominazione di Casamari “casa di Mario”. Preziose informazioni circa le origini del monastero ci sono offerte da due fonti documentali: la Cronaca del Cartario del XIII secolo e, il Chartarium Casamariense, redatto sullo scorcio del ‘400 da un monaco di Casamari per incarico dell’abate commendatario Giuliano della Rovere. Secondo la prima di tali fonti si apprende che l’abbazia sorge agli albori dell’XI secolo, nel 1005, per iniziativa di una comunità benedettina che edificò il primo monastero. Quando poi, per l’opera spirituale di Bernardo di Clairvaux e per l’appoggio dei Pontefici, l’Ordine di Citeaux (Cistercium) in Borgogna, si diffuse in Italia, nel 1152 l’abbazia passò ai Cistercensi.

Questi nel 1203 intrapresero una radicale ricostruzione dell’antico monastero secondo la planimetria tipica dell’Ordine, sotto la direzione e progettazione di Frà Guglielmo da Milano. La chiesa dedicata alla Vergine Assunta e cointitolata ai Santi Giovanni e Paolo, fu iniziata con la benedizione di Innocenzo III e, consacrata, nel 1217, da papa Onorio III. Dal 1152 i Cistercensi ininterrottamente vivono ancora qui a testimonianza della solidità della loro comunità. L’abbazia di Casamari è nella storia dell’architettura un caposaldo stilistico dell’arrivo nel Lazio delle forme gotiche-borgognone ai primi del ‘200.

Il tutto è sormontato da un loggiato con quattro bifore geminate a tutto sesto. All’uscita del vestibolo si presenta, a sinistra, l’elegante facciata della chiesa con il ricco portale mediano, che si affaccia sulla sommità di un’alta gradinata, preceduta da un portico a tre archi. Le colonne di epoca romana, allineate lungo il viale, contribuiscono a dare solennità e nobiltà al complesso. L’interno, di grande sobrietà, è con la pianta a croce latina a tre navate, abside rettangolare volta ad oriente, transetto rettangolare con sei cappelle, volte a crociera sostenute da pilastri a fascio e colonnine pensili, tipici elementi architettonici dello stile gotico. Unico ornamento, il grande ciborio settecentesco in marmi e stucchi policromi che sormonta l’altare, donato da Clemente XI nel 1711.
 
Il tutto in perfetta osservanza dell’austerità della regola cistercense e di quanto ha lasciato scritto San Bernardo nella sua celebre “Apologia”, scritta fra il 1123 e il 1125, dove deprecava una Chiesa che “copre d’oro i suoi monumenti e lascia andare nudi i suoi figli”. Attraverso il vivace Chiostro quadrato, circondato da un ambulacro scandito da sedici eleganti bifore e rallegrato dalla policromia delle aiuole, centro della vita monastica, si raggiunge il Refettorio (antico dispensarium) con le possenti colonne cilindriche, e la magnifica  Sala Capitolare, severa e lineare con le sue tre navate e la volta a costoloni, vero tesoro architettonico che conferma la fama di capolavoro gotico-cistercense dell’Abbazia di Casamari. Ma l’abbazia è famosa anche per l’attività galenica dei suoi monaci e per la sua antica Farmacia, il cui anno di fondazione ufficiale sembra il 1761, anche se l’attività si intensificò negli anni a seguire.
 
L’Epistolario De Jacobis, conservato nell’archivio dell’abbazia, riporta che Frà Giacobbe Margione acquistava a Roma solo alcune piante particolari e quando nel 1822 ottenne la patente di speziale la farmacia fu aperta al pubblico. Divenne centro di studi e preparazione anche per farmacisti laici sotto la direzione di Don Giacomo Verrelli che inventò i preparati che dettero la fama alla farmacia di Casamari, tra cui l’elixir setterbe e l’antica tintura imperiale della odierna liquoreria. L’abbazia ospita inoltre una assai fornita Biblioteca, con un patrimonio librario di circa 80.000 volumi, e una ricca Pinacoteca con dipinti di Carassi, Guercino, Sassoferrato, Balbi, Fantuzzi e Purificato. Da visitare anche il Museo Archeologico dove sono custodite suppellettili romane.
 
 
 
 
 
Abbazia di Casamari
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L'Abbazia di Montecassino

Abbazia di Montecassino

A nessuno che percorra l’autostrada del Sole, nel tratto che congiunge Roma a Napoli (uscita di Cassino), sfugge lo spettacolo che si offre lungo l’ampia valle del fiume Liri: una squadrata e candida costruzione è lì, ben piantata a 520 metri di altezza, sopra l’ultima propaggine di una catena di balze del monte Cairo. Il grande edificio è la maestosa Abbazia di Montecassino che si staglia sulla cima della montagna, ricoperta una volta da boschi di secolari querce e lecci ed ora da verdi-argentei ulivi, quasi a dominare la sottostante città di Cassino.

 

L’abbazia fu fondata nel 529 da San Benedetto da Norcia, ma venne devastata dai Longobardi (580), dai Saraceni (883), da un terribile terremoto (1349) e il 15 febbraio del 1944, durante l’ultimo conflitto, venne completamente rasa al suolo da un violento bombardamento degli Alleati. Con ostinata fedeltà, voluta ed annunciata dalle parole dell’Abate Ildefonso Rea dov’era e com’era, utilizzando i marmi superstiti, l’opera di ricostruzione, iniziata con la posa simbolica della prima pietra il 15 marzo 1945, ha restituito al mondo cristiano, e non solo, la più insigne delle abbazie benedettine quella stessa che secoli prima meritò la definizione di “Atene medievale nella notte di molti secoli " da parte del Gregorovius. L’opera di ricostruzione dell’intero complesso è avvenuto completamente a spese dello Stato italiano.

La storia dell’Abbazia è quella di una roccaforte culturale dalla quale, insieme al cattolicesimo, si sono diffuse l’arte, la lingua e le valenze di una nuova civiltà grazie all’opera tenace dei discendenti di San Benedetto il quale, per primo, con pochi compagni raggiunse l’Acropoli dell’antica Casinum sulla quale sorgevano numerosi templi pagani. Il Santo trasformò il Tempio di Apollo in Oratorio dedicato a San Martino, mentre sulla cima di un monte, là dove si trovava l’ara sacrificale, eresse un altro Oratorio intitolato a San Giovanni Battista, che divenne il primo nucleo dell’attuale Basilica.

Nell’allora piccolo complesso, Benedetto trascorse il resto della sua vita prodigandosi nell’assistenza dei bisognosi, compiendo numerosi miracoli e, soprattutto, scrivendo la storica “Regola”, redatta in 73 capitoli, nella quale ai tre voti di povertà, castità e obbedienza aggiunse l’obbligo del lavoro; il motto “Ora et Labora”, da allora è alla base del monachesimo benedettino. Il Santo si spense intorno al 547, pochi giorni dopo la morte della sorella Scolastica; le reliquie dei due santi sono conservate nella cripta sottostante il suntuoso altare maggiore della chiesa, pazientemente ricostruito recuperando le parti originali dell’opera di Cosimo Fanzago, uno dei più celebri architetti del Seicento napoletano.

Si entra nella Basilica oltrepassando tre grandi chiostri in successione, di cui il secondo, quello centrale detto anche del Bramante, costruito nel 1595, appare ingentilito dall’elegante Loggia del Paradiso e dalla presenza di un armonioso pozzo con ai lati le due marmoree statue settecentesche di San Benedetto e Santa Scolastica. Dei tre portali d’ingresso soltanto quello al centro è originale. Esso è opera bizantina dell’XI secolo, periodo in cui l’abbazia raggiunse l’apice del suo splendore con l’abate Desiderio, e riporta incise in lettere ageminate tutte le terre possedute. I due portali laterali, invece, sono opera contemporanea di Pietro Canonica del 1952 e raffigurano scene della vita di San Benedetto. L’interno, a tre navate, decorato da fastosi stucchi dorati è stato ricostruito su disegno originario seicentesco, arricchito nel secolo successivo dalla fastosa decorazione, riutilizzando quanto era stato possibile recuperare dal cumulo di macerie in cui l’abbazia era stata ridotta. Per quanto riguarda la parte pittorica, le volte un tempo dipinte dal napoletano Luca Giordano, sono state in parte decorate dagli affreschi di Pietro Annigoni, uno dei più celebri pittori del nostro secolo, e dalla sua scuola. Alla mano dello stesso si devono le varie e solenni figure ieratiche, tipiche della sua maniera classicheggiante, in controfacciata, nelle lunette della navata principale, ai lati delle finestre, nella cupola seicentesca, nei tondi e nei pennacchi del tamburo.

Sugli altari sono state collocate tele del XVII e XVIII secolo, di scuola napoletana. Non dobbiamo dimenticare che dall’VIII secolo in poi, l’abbazia fu un centro di cultura, soprattutto per l’opera di trascrizione delle opere antiche secondo le tecniche della scrittura beneventana, nell’Archivio è ubicato il famoso “Placito cassinese” dell’anno 960, noto per essere il primo documento che racchiude scritte del volgare italiano.
E nella Biblioteca, monumento nazionale, sono conservate preziosissime opere rare ed antiche tra cui 40.000 pergamene, codici,  manoscritti, il lezionario del 1068, i libri d’Ore (libri di preghiere per i laici), gli incunaboli del ‘400, le cinquecentine e numerose rilegature e rarità bibliografiche di minime misure, libri corali, disegni e stampe del ‘700 ed ‘800. Numerose sale, tra cui quella dei Bozzetti, quella iconografica di San Benedetto, quella dei ricami, fanno parte del Museo di Montecassino sorto nel 1980 in occasione del XV centenario della nascita del suo fondatore.
 
 
 
 
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