Antonio Luigi Embergher
Chi era: Liutaio
Nato a: Arpino il 4 Febbraio del 1856, da Pietro Embergher, ebanista originario di Alvito e dall’arpinate Maria Ciccarelli.
La mancanza di lavoro (in una città come Arpino un tempo ricca ed industriale, ma, tra il 1872/75, in piena recessione economica causata dalla decadenza dei lanifici), indussero il giovane Embergher a trasferirsi a Roma, dove ebbe modo di apprendere buone conoscenze sulle tecniche di costruzione degli strumenti musicali cordofoni e in particolare del Mandolino “modello Romano”. Non sappiamo con esattezza quanto durò l’apprendistato nella città eterna, possiamo affermare però, che quasi certamente ebbe modo di conoscere ed apprezzare l’opera del liutaio romano Giovanni De Santis e tra 1878 e il 1881, tornò ad Arpino dove fondò quella che sarebbe diventata un’importantissima bottega artigiana. L’impegno, la tenacia e l’assiduo lavoro, combinato agli studi sui suoni, vibrazioni e risonanze sonore, resero la bottega e il suo nome famoso e conosciuto nel mondo, sia per l’alta qualità che per la vasta gamma di strumenti prodotti, tanto da essere considerato uno dei più grandi liutai italiani.
Non senza orgoglio e compiacimento il grande liutaio poteva dichiarare: “Il mio mandolino da concerto è richiesto, adoperato e lodato da tutti i migliori professionisti e solisti del mandolino, sia italiani che esteri, nonché adoperati dai migliori circoli mandolinistici che a preferenza richiedono i miei strumenti trovandoli di loro completa soddisfazione”. Il laboratorio nel periodo di massima floridezza arrivò a contare sino a 15 dipendenti, dal semplice apprendista fino al maestro rifinitore, per una produzione massima stimata tra gli ottanta e i cento strumenti al mese, in gran parte mandolini, venduti in Italia ed esportati in varie parti d’Europa e resto del mondo. Del Mandolino modello Romano, venivano realizzate ben undici versioni, indicate con lettere: Tipi A e B, o con numeri: 1,2,3,4,5,5bis,6,7,8, venduti nei punti vendita di via Leccosa, via Delle Carrozze e via Belsiana. I Mandolini N° 5 e il N° 5-bis, erano gli strumenti più ricercarti e apprezzati dai singoli virtuosi e dai grandi maestri, questi erano infatti, strumenti da concertista e solista, in legno acero riccio ondulato o palissandro a 35 stecche scannellate e piano armonico verniciato, il N° 5-bis differiva dal N° 5, per la tastiera del manico a forma di liuto che conferiva allo strumento una sorta di stile greco. I due tipi di strumenti erano strutturati secondo la concezione del violino, la tastiera infatti, più lunga normale era organizzata secondo un sistema proprio di 29 tasti che corrispondeva all’estensione della tastiera del violino, cioè fino al LA 6° in modo da permettere di eseguire qualunque tipo di musica classica. Il N° 8, era il mandolino di lusso, molto ricco negli ornamenti con intarsi in avorio e madreperla, le stecche inferiori incavate ed intarsiate. L’ornamentazione era molto ricca ed artistica. Questo strumento ha avuto le maggiori onorificenze, era lo strumento realizzato per le case Regnanti, uno di questi esemplari fu acquistato nel 1902 da Maria Feodorovna, Regina madre dello Zar di Russia Nicola II.
Nella bottega erano costruite anche a richiesta, alcune varianti del mandolino, come il Terzino, la Mandoliola, il Mandoloncello e il Mandolbasso. Il quartetto a plettro Embergher composto da due Mandolini, una Mandoliola e un Mandoloncello, valse al liutaio arpinate numerosi premi e riconoscimenti in esposizioni italiane e straniere ed a tale proposito il 19 giugno 1899, Luigi Callari sul Popolo Romano così scriveva: “Ho notato un quartetto a plettro del Sig. Luigi Embergher, uno dei più distinti strumentisti di Roma, coscienzioso ed abile lavoratore, il quale quartetto è composto da due mandolini nuovi, sistema brevettato una Mandoliola (che è quasi una Viola), e un Mandoloncello, i quali strumenti riuniti insieme formavano un armoniosissimo quartetto. ….. Il Mandolino è con tastiera mobile e sollevata dal piano armonico e con meccanica tiracorde di un metodo speciale e perfetto”. Gran parte degli strumenti prodotti erano esportati in varie parti del mondo dall’India al Brasile, dalla Francia al Giappone. La crisi però era oramai alle porte, il fragile tessuto economico e sociale italiano, non aveva ricevuto con l’avvento del fascismo, i progressi inutilmente sperati, mentre la tempesta economica che nel 1929, aveva travolto la borsa americana, attraversò l’oceano e si abbatté sulla Gran Bretagna, Fancia, Germania e naturalmente anche sull’Italia.
E’ pertanto comprensibile come, un’attività artigianale per quanto ben organizzata ed apprezzata, che basava gran parte dei suoi profitti sull’esportazione dei propri manufatti, potesse andare letteralmente in crisi, visto anche l’insuccesso di una nuova creazione, la Cetra Madami-Embergher, realizzata con lo scopo di penetrare maggiormente nel mercato nazionale. Nel 1928 il laboratorio era attivo 5 giorni la settimana nel ’29 i giorni si ridussero tre e dal 1930 al 1934 il solo Bendetto Macioce, nipote di Luigi Embergher che già da diversi anni era diventato capo operaio a seguito di un infortunio alla gamba di mastro Antonio, portò avanti il lavoro da solo. La politica autarchica fascista, combinata alle sanzioni economiche applicate contro l’Italia dagli stati membri della Società delle Nazioni il 18 Novembre 1935, perché aveva aggredito l’Etiopia, delinearono una situazione estremamente difficile ed irrecuperabile, Nel 1938, Domenico Cerrone, uno dei migliori allievi di Embergher, che sin da bambino aveva lavorato all’interno del laboratorio, rilevò il marchio e la bottega. Il maestro Luigi Embergher morì nella casa di via Belsiana a Roma tra il 13 e il 14 maggio del 1943.