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Chi era:
Nato a:

Nacque a Ceccano nella seconda metà del XIII secolo, appartenne alla nobile famiglia Conti e fu il figlio di Berardo II e Perna Stefaneschi, nonché nipote di Annibaldo I, signore di Ceccano.
Fu un dotto prelato, teologo stimato e insegnante all'Università parigina della Sorbona. Notevoli erano anche le sue doti diplomatiche che lo portarono a ricoprire importanti incarichi per conto del pontefice Giovanni XXII, il quale lo nominò Arcivescovo di Napoli e, nel 1327, Cardinale Vescovo Tuscolano. Inoltre, in Francia, occupò la carica di Arcidiacono Atrebatense.
Fu impegnato nella difesa di San Tommaso d'Aquino, suo zio, nella disputa teologica sulla visione beatifica, e protesse Simone Martini, che lo ringraziò ricordandolo in un affresco dipinto nel Palazzo dei Papi ad Avignone. Fu anche uomo di lettere, amico del Petrarca, che gli indirizzò la prima epistola del libro VI nella quale si lamentava delle condizioni della Chiesa in riferimento alla corruzione e all'avarizia di tanti prelati. Scrisse in versi, molto lodati, la vita dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.

Legato Pontificio, fu più volte inviato in gravi circostanze presso i più potenti sovrani d'Europa, riuscendo grazie alle sue abilità a dipanare situazioni intrigate dal punto di vista politico. Durante il Giubileo del 1350, il Papa Clemente VI si trovava con tutta la curia ad Avignone e nominò suo rappresentante in Roma proprio il porporato ceccanese. Annibaldo aveva ricevuto per l'occasione poteri straordinari come l'inagurare le cerimonie religiose, il diritto di abitare nel palazzo pontificio, di usare il cerimoniale riservato al papa, di conferire cariche, di creare cavalieri e di togliere o comminare scomuniche.

Durante la permanenza a Roma, si rese inviso alla popolazione locale e, in un'occasione, fu fatto oggetto di un attentato che, per poco, non riuscì nell'intento di ucciderlo. Annibaldo attribuì la responsabilità di quell'episodio a Cola di Rienzo e ai suoi accoliti, che vennero per questo condannati. Oltre ad entrare in contrasto con l'effimera potenza di Cola di Rienzo, fu osteggiato per la sua decisione di ridurre i giorni obbligatori di permanenza a Roma per gli stranieri che volevano acquisire l'indulgenza: lo scopo era quello di ridurre l'affollamento in città, ma al contempo tolse i pellegrini dalle mani dei mercanti che speculavano sui prezzi. I romani inveirono contro il Cardinale ceccanese e quest'ultimo lanciò l'interdetto contro la città.
Fattasi difficile la situazione, Clemente Vi ritenne opportuno mandarlo in missione a Napoli. Nel suo viaggio verso Sud fu ospite, nella sua Ceccano, del fratello Tommaso. Riprese quindi il suo cammino e si recò all'abbazia di Montecassino. Il 16 luglio del 1350, mentre era diretto a Napoli, morì nel Castello di San Giorgio a Liri, probabilmente per avvelenamento, dal momento che con lui perirono molte persone del suo seguito. Il suo corpo fu imbalsamato e portato a Roma dove fu sepolto in San Pietro presso la tomba dello zio Giacomo Stefaneschi. Ad Avignone si erge ancora il suo palazzo, la livrée Ceccano, che oggi ospita una delle più importanti biblioteche di Francia.

Secondo il parere di molti studiosi, Annibaldo non fu mai eletto papa perché ai suoi tempi il pontefice e la curia erano in Avignone e il collegio cardinalizio era dominato dai francesi.

Bibliografia:
- Giuseppe Marchetti Longhi, “La chiesa di Santa Maria del Fiume e i cardinali Giordano e Annibaldo da Ceccano”, 1951.
- AA. VV., “Annibaldo de Ceccano”, Ceccano, 2003.
- Stefania Alessandrini, “Annibaldo de Ceccano e il suo tempo”, Ceccano, 2004.

 

 

 

 
 

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