Arce: Museo Gente di Ciociaria

Il Museo Gente di Ciociaria è un museo demoantropologico dedicato ai nativi del Basso Lazio. Realizzato dalla XV Comunità Montana Valle del Liri e dalla Regione Lazio, Assesorato alla Cultura, è dedicato alla conoscenza delle condizioni di vita e lavoro della gente ciociara, che abitava le colline del Basso Lazio e le vallate dei fiumi Sacco e Liri, e spesso migrava alla ricerca di lavoro fin verso le Paludi Pontine, la Campagna Romana, la stessa Roma e si spostava in tutte le Regioni confinanti per mercati, transumanze, pellegrinaggi. Questa ricerca colma il vuoto degli studi dedicati alla parte più umile e povera della popolazione ciociara, quella agro-pastorale. Salvo sporadiche raccolte pervenute fino a noi di canti, preghiere, favole, detti, condotte in forma frammentaria da appassionati di tradizioni popolari, gli studiosi non avevano finora sviluppato ricerche sistematiche sulla civiltà della Gente Ciociara, inquadrata nelle condizioni di vita degli ultimi secoli, cruciali per il passaggio dall’epoca della ruralità a quella dell’industrializzazione e del terziario.

Il pensiero, i saperi e gli usi di tale gente, che fin dalla preistoria avevano avuto uno sviluppo coerente, con la rivoluzione industriale hanno subìto, come in altre aree, un momento di discontinuità, perché l’emancipazione culturale e l’innovazione tecnologica hanno causato forti cambiamenti nei comportamenti, nei modi di lavorare, nei modi di pensare, nei rapporti tra i vari ceti sociali. La novità di questo Museo è quella di rileggere i caratteri dell’uomo ciociaro, attraverso documenti e cronache, osservandolo direttamente nel suo ambiente, con la raffigurazione d’epoca di volti, di costumi e di gesti lavorativi, di culto, di svago, di sofferenza e di ribellione.

Per raggiungere questo risultato è stato necessario far ricorso a moltissimi e rigorosi materiali visivi, per massima parte inediti, (disegni, incisioni, litografie, acquerelli, dipinti, foto antiche, ecc.), prodotti soprattutto dai viaggiatori stranieri che da Oltralpe venivano nei secoli scorsi a visitare l’Italia, portandone via una grande quantità di immagini, storie, descrizioni. Tali materiali sono per noi oggi documenti oggettivi e di prima mano, che consentono di ricostruire con sufficiente fedeltà le atmosfere d’ambiente, soprattutto grazie alla bravura di tali eccellenti artisti-reporter. Sulla civiltà contadina e sui mestieri dell’Ottocento esistono già numerose, importanti raccolte, sia di tipo pubblico che privato, realizzate in certi casi con criteri qualitativamente elevati: sono i Musei degli oggetti, della civiltà materiale.

Questo complesso espositivo è diverso dagli altri Musei della Civiltà Contadina esistenti in Italia, ma nello stesso tempo è ad essi complementare. In essi, se si vuole focalizzare il problema uomo, il suo pensiero, le sue condizioni di vita, questo è possibile solo in modo indiretto. Prevalgono in genere gli aspetti legati alla concretezza materiale, alla forma, all’aspetto tecnologico di realizzazione, o d’uso dell’oggetto esposto. Pur essendo tali elementi molto importanti, in questi musei si fatica a ricostruire dai reperti gli atteggiamenti, le idee, le credenze, la saggezza, le lotte sociali dell’uomo preindustriale.

La conoscenza di questi aspetti è fondamentale oggi, perché con l’avvento delle macchine e dei moderni mezzi di comunicazione il mondo occidentale è talmente cambiato, che comincia ad essere difficile capire tanta parte del mondo antico, le cui estreme ramificazioni erano arrivate intatte, si può dire, fino alla seconda guerra mondiale, per poi rapidamente sparire. Per fare alcuni esempi, i rapporti tra coloni e padroni, o i rapporti che l’uomo aveva con la terra, con gli animali, con il lavoro (basato nel mondo agricolo esclusivamente sullo sforzo fisico di uomini e donne, vere e proprie bestie da fatica, che nei campi si sfiancavano insieme ai buoi, ai muli, agli asini, o, non disponendo di animali domestici, talvolta sostituendosi ad essi), erano legati a realtà oggi sempre più lontane da noi.

Con la meccanizzazione, con lo sviluppo dei settori avanzati, il mondo agro-pastorale che costituiva la base economica e d’occupazione di tutte le civiltà dagli albori fino al Novecento, si è, per fortuna, qualitativamente trasformato, ma il tentativo di raccoglierne, prima della scomparsa, gli ultimi materiali conoscitivi incontra già oggi grandi difficoltà. Basti pensare che, ora, nei territori studiati si parla già di civiltà del grano per indicare un’epoca ormai trascorsa, nella quale si seminava in modo intensivo quest’importante cereale, oggi quasi sparito, perché importato da altri continenti. Con la scomparsa, non solo paesaggistica, dei campi coltivati, con il modificarsi degli usi agrari oggi si perde tutto il patrimonio di conoscenze, di tradizioni, di comportamenti legati all’aratura, alla semina, alla mietitura, alla trebbiatura, che per molte decine di secoli erano le stesse attività diffuse ampiamente in tutto il mondo occidentale, dai tempi di Esiodo fino a ieri. Studiare il passato è utile per leggere meglio il presente e intuire i lineamenti del futuro. Per questo tutti i pannelli esposti potrebbero essere in futuro rimossi e sostituiti con altro materiale, non appena si raggiungessero nuovi livelli di conoscenza rispetto a quanto già acquisito.

Al posto di un Museo, che rischia di cristallizzarsi, potrebbe essere prevista una struttura in continua trasformazione, a cui affiancare una rete di studiosi e cultori locali di tradizioni popolari, per dare vita ad ulteriori approfondimenti, per acquisire e valorizzare nuovi patrimoni attinenti l’argomento.

E per rimanere nel linguaggio agrario, il Museo dovrebbe essere come un albero di salice, o di pioppo, o di gelso, che periodicamente veniva capitozzato dai contadini, cioè potato di tutti i rami e ridotto a puro tronco: ma a primavera, con la nascita di tanti polloni, riacquistava sempre una nuova bella chioma, ricca di rami giovani, di fitto fogliame e, per il gelso, di rigogliosi frutti. Il Museo dovrebbe conservare la vitalità del tronco base e mostrarsi periodicamente con un vigoroso rinnovamento di immagine derivante dalle continue mutazioni delle sezioni tematiche.

Al momento le principali sezioni espositive riguardano i viaggiatori stranieri e la rappresentazione che essi raccolsero dell’ambiente ciociaro, dei borghi e dei campi, dei tipi e dei costumi. Vasta è anche la documentazione riguardante le credenze popolari, le superstizioni, i sortilegi o incantamenti, che evidenziano i condizionamenti dovuti a situazioni avverse quali quelle legate al dolore, alle paure, alla diversità, alle malattie, alla subalternità di persone oppresse dalla fame, sfavorite spesso dalla natura ostile e quindi soggette al pesante sfruttamento dei proprietari dei fondi, o degli armenti.

L’uomo della Ciociaria è stato indagato anche nelle credenze religiose, che si concretizzavano di frequente in atti tradizionali molto importanti quali, ad esempio, i pellegrinaggi in una miriade di santuari. Si scopre così che, terminata la stagione della mietitura e prima dei lavori settembrini, folte schiere di pellegrini ciociari si snodavano lungo gli antichi itinerari di fede dell’Italia centrale, sia nello Stato Pontificio, che nel Regno di Napoli, percorrendo a piedi spesso molte centinaia di chilometri per raggiungere i santuari di Vallepietra, di Loreto, di Monte S. Angelo sul Gargano ed, in epoca più recente, di Pompei.

Nel Museo sono trattati molti temi, tra cui anche i rapporti tra coloni e proprietari di fondi agricoli; una piccola sezione è dedicata anche alla condizione degli operai, ex contadini, che nell’800 trovarono impiego nei primi lanifici e nelle prime cartiere nell’area Arpino – Isola del Liri. Un’altra sezione è dedicata alla morte, argomento di solito poco o per nulla trattato nei musei, ma che qui permette di capire i problemi delle famiglie ciociare colpite dalla perdita del capofamiglia, o il grave rischio che i mietitori ciociari affrontavano andando a lavorare nelle aree malariche. All’interno di quest’ambiente di povertà, un ruolo primario e pesantissimo era svolto dalla donna, che lavorava al pari dell’uomo nei campi e sopportava in più le fatiche domestiche, provvedeva alla nascita, alla crescita e all’educazione dei figli, spesso numerosi.

La condizione femminile è indagata anche attraverso gli argomenti delle modelle, o delle balie con un apparato di immagini antiche molto belle, relative soprattutto alla città di Veroli. Un’attività che strappò, seppur in modo temporaneo, molte giovani donne, ma anche uomini, al duro lavoro dei campi fu quella di modelle/modelli per pittori e scultori italiani e stranieri, chiamati a lavorare nei loro studi a Roma o a Parigi. Per quanti oggi abitano ed amano la Ciociaria si ritiene che questo Museo possa essere un luogo stimolante di riflessione collettiva e per l’esplorazione di valori in gran parte dimenticati, che meritano di essere custoditi come cose care.

XV Comunità Montana “Valle del Liri” Arce (Fr).
Ricerche, elaborazioni e progetto: Ugo Iannazzi, Eugenio M. Beranger. Consulenza Pietro Clemente. Collaborazione M. Concetta Nicolai

Informazioni utili

IndirizzoIndirizzo: Corso Umberto I, 03032 Arce (Fr)

Tipologia di Museo: Museo Antropologico
Giorni e orari di apertura: il Museo è visitabile solo su richiesta. Telefono 0776524103 (Comune di Arce)
Biglietto di ingresso:

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